Bruxelles – La posizione dell’Ungheria nell’Unione europea si complica sempre di più. Sotto i riflettori per le più recenti picconate allo Stato di diritto – tra cui il divieto del Budapest Pride e la legge sulle interferenze straniere -, ora il governo di Viktor Orbán vede profilarsi sempre più nitidamente la conferma di aver violato il diritto comunitario con la stretta sui diritti della comunità Lgbtqi+ varata già nel 2021.
È il parere di Tamara Ćapeta, avvocata generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che il Tribunale prenderà in considerazione quando emetterà la sentenza con cui si chiuderà la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti di Budapest ormai quattro anni fa. Quando Fidesz, il partito sovranista e ultra-conservatore del premier ungherese, adottò diversi provvedimenti per vietare o limitare l’accesso a contenuti che ritraessero o promuovessero “identità di genere che non corrispondono al sesso assegnato alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità”.
Secondo l’avvocata generale Ue, il primo esecutivo von der Leyen aveva ragione su tutta la linea: l’Ungheria ha violato le regole del mercato interno dei servizi, il regolamento generale sulla protezione dei dati e diversi diritti tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Il divieto di discriminazione fondata sul sesso e sull’orientamento sessuale, il rispetto della vita privata e familiare, la libertà di espressione e di informazione, nonché il diritto alla dignità umana.

La giustificazione della “tutela dello sviluppo sano dei minori” non è sufficiente. Anche perché la normativa ungherese non si limita a proteggerli da contenuti pornografici, ma vieta la rappresentazione della vita quotidiana delle persone Lgbtqi+, senza fornire alcuna prova del potenziale rischio che potrebbe comportare. Di fatto, la legge ungherese pone l’omosessualità, il cambio di sesso e la divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita allo stesso livello della pornografia. “Tali modifiche si basano su un giudizio di valore secondo cui la vita omosessuale e non cisgender non ha lo stesso valore o lo stesso status della vita eterosessuale e cisgender”, rileva l’avvocata.
C’è di più: secondo Ćapeta la Corte dovrebbe constatare – come richiesto da Bruxelles – anche una violazione autonoma dell’articolo 2 dei Trattati, quello che sancisce i valori fondamentali su cui si fonda il progetto europeo. Con l’emarginazione di un gruppo dalla società, l’Ungheria ha superato la “linea rossa” dell’uguaglianza, della dignità umana e del rispetto dei diritti umani. E ancora: Budapest si è “discostata in modo significativo dal modello di democrazia costituzionale di cui all’articolo 2” del Trattato Ue.
Difficilmente la Corte di Giustizia si discosterà dall’orientamento di Ćapeta. Che conferma tutte le istanze presentate dalla Commissione europea. A quel punto, scatterebbero nuove sanzioni: non sarebbe la prima condanna per l’Ungheria di Orbán, su cui per altro il Parlamento europeo ha già avviato, nel lontano 2018, la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato, volta a determinare l’esistenza di violazioni gravi e persistenti dei valori dell’Ue e a comminare eventuali sanzioni.